VERBANIA – 18.12.2018 – A chi toccava
la manutenzione? Chi doveva vigilare? Che cosa è stato fatto per ridurre i rischi già noti? È partendo da queste domande e dal morto che ha lasciato sull’asfalto l’ennesima frana caduta sulla statale 34 del Lago Maggiore (quella del 18 marzo 2017) che la Procura di Verbania è partita nell’indagine per omicidio colposo, lesioni colpose e frana che il sostituto Sveva De Liguoro ha chiuso con gli “avvisi” a sei indagati. Acquisendo numerosa documentazione negli uffici torinesi di Anas, della Regione, e dei comuni lacustri raccolti nell’Unione del Lago Maggiore (Cannobio, Ghiffa, Oggebbio e Cannero Riviera) e sentendo amministratori e funzionari, la Procura ha ricostruito gli ultimi tre anni, quelli successivi all’evento del 2014, che determinò la chiusura per tre mesi dell’arteria internazionale. Anni in cui i vari enti interessati hanno discusso di progetti e proposte di progetti, in un certo senso rimpallandosi le responsabilità degli interventi, sia risolutivi, sia preventivi.
Giandomenico Albertella è indagato nella doppia veste di sindaco di Cannobio e di presidente dell’Unione del Lago Maggiore. Come primo cittadino, il 7 aprile 2014 aveva firmato l’ordinanza generale –affissa all’albo pretorio e non notificata specificamente ad alcuno– che obbligava i proprietari dei fondi affacciati sulle strade del suo territorio a tenerli puliti da piante e rami sporgenti. Ordinanza non osservata dai proprietari del terreno in cui s’è verificata la frana, né fatta osservare dall’autorità municipale. Come presidente dell’Unione s’era fatto carico, nel dicembre del 2014, di trasmettere alla Regione –che li aveva chiesti dopo un incontro al ministero successivo proprio all’evento di quelle settimane– i progetti preliminari (6,2 milioni il costo previsto) di Cannobio, Cannero Riviera, Oggebbio e Ghiffa per la messa in sicurezza dei versanti. Progetti rimasti in un cassetto, per i quali Torino non ha mai risposto, né dall’Alto Verbano sono giunti gli elaborati definitivi. Secondo la Procura questi due ruoli istituzionali gli conferiscono, per legge, responsabilità di protezione civile e nella cura anche dei versanti. Quest’ultima la Regione ritiene non sia sua competenza (ma di Anas) e anche Anas, fatte salve le sue proprietà e nonostante sporadici interventi effettuati, non riconosce come propria incombenza. Nonostante ciò, la società pubblica è proprietaria della strada e ne ha una responsabilità nella gestione, quella per cui potrebbero essere chiamati a rispondere davanti alla giustizia gli ingegneri Valter Bortolan, Raffaele Celia e Nicola Montesano.
Quanto ai fratelli Ruggiero e Susanna Scheller, rientrano nell’inchiesta perché, comproprietari della parete rocciosa franata, avrebbero dovuto tenerla pulita e in sicurezza.