VERBANIA – 23.10.2018 – “Siamo chiari nelle dichiarazioni,
perché quella che emerge è l’ipotesi di un reato grave”. Quello che il giudice Donatella Banci Buonamici rivolge a uno degli ex dipendenti dell’Ossolana chiamato a deporre nel processo per bancarotta fraudolenta della società di Fondotoce, è un invito ma anche una riflessione ad alta voce. Che, codice penale alla mano, il magistrato che presiede il collegio giudicante formato da Rosa Maria Fornelli ed Elisabetta Ferrario traduce nell’articolo 377 bis. Induzione a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria è l’ipotesi balenata oggi in tribunale, nell’udienza-fiume (nove ore con una brevissima pausa) che ha visto sfilare dieci testimoni: otto ex dipendenti della società, un funzionario di banca e un funzionario del consorzio di confidi co-garante delle linee di credito.
Ad accreditarla è una circostanza confermata da più testi, cioè che dopo l’accertamento della Guardia di finanza della primavera 2015 (le indagini partirono già in quei giorni con le intercettazioni telefoniche) di poco precedente la dichiarazione di fallimento (a settembre), avuti in mano i verbali con le dichiarazioni dei dipendenti resi alle Fiamme Gialle, i tre soci –Giuseppe Nasini, Pier Paolo e Gian Luca Morelli– tennero una riunione del personale nella quale Nasini disse che se, nel caso di successive dichiarazioni, non avessero indicato come primo responsabile Giorgio Grossi, sarebbero stati licenziati. Grossi è uno dei cinque indagati che hanno chiesto riti alternativi e per i quali il processo deve ancora aprirsi in fase di udienza preliminare. Nell’ipotesi dell’accusa sostenuta dal pm Gianluca Periani è, insieme a Cesare Boni, la “testa di legno” che i tre soci avevano indicato come legale rappresentante per sviare le proprie responsabilità nel crac che sapevano essere imminente. Gli altri indagati in udienza preliminare sono i fratelli Morelli e Vincenzo Raso. Al dibattimento, invece, ci sono Nasini e Luigi Morelli, il padre di Gian Luca e Pier Paolo, fondatore dell’azienda.
Per tutti le accuse sono 38 capi d’imputazione che vanno, in concorso e a vario titolo, dalla bancarotta fraudolenta (documentale e per distrazione) all’evasione fiscale, dalla falsificazione dei bilanci all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, all’alterazione dei Durc.
L’udienza odierna ha esaurito tutti i testi dell’accusa, alcuni peraltro comuni alla difesa di Nasini, rappresentata dall’avvocato Fabrizio Busignani. Il pm Periani e l’avvocato Patrich Rabaini per la parte civile (il fallimento Ossolana in capo al curatore Francesco Roman) hanno chiesto ai dipendenti chi fossero i reali amministratori della società, approfondendo gli episodi contestati. La difesa ha insistito sulla propria linea, quella cioè che Nasini fosse un manager ma non un amministratore. Il processo è aggiornato al 6 dicembre, con la data del 13 già prenotata per esaurire il dibattimento. La sentenza di primo grado arriverà con l’inizio del 2019.
Significative sull’intera vicenda Ossolana sono state le dichiarazioni rese oggi in aula dal funzionario di banca e dal funzionario confidi: il fallimento fu una sorpresa perché per loro la società era solida e aveva indici finanziari buoni. Eppure è “scoppiata” lasciando un buco da 16 milioni di euro.