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VERBANIA – 09.12.2018 – Se non fosse per il Canton Ticino,

Verbania (e il Verbano) sarebbero in crisi ancor più di quanto –non poco– lo siano adesso. Deficit logistico, eccessiva burocrazia, tasse oppressive e scarsa propensione al credito sono i principali fattori che determinano lo stato comatoso dell’imprenditoria locale. Meno aziende e più in difficoltà significa anche meno lavoro. E se il lavoro non c’è, allora lo si va a cercare altrove. Anche e soprattutto in Ticino, dove i nostri conterranei impiegati oltreconfine, i cosiddetti frontalieri, sono cresciuti nell’ultimo lustro. Se ne stimano circa 6.000, di cui 1.500 provenienti dalla sola Verbania. Sono italiani che vivono in Italia (entro 20 km dal confine), ne mantengono la residenza, ma producono reddito in uno stato extraUe: la Svizzera. La loro tassazione è regolata da un accordo internazionale del 1974 secondo cui il prelievo avviene alla fonte –nella Confederazione– e non prevede versamenti in Italia, né dichiarazioni dei redditi. Il denaro che Berna introita, con aliquote inferiori a quelle italiane e con un salario base più alto per via del maggior costo della vita (da qui, contando anche un welfare migliore, gli stipendi più “pesanti”), viene in parte rispedito a Roma. Lo Stato ne trattiene una percentuale e lo dirotta ai comuni di residenza dei frontalieri (o alle Unioni). Ecco così come quel denaro, che ha lo scopo di co-finanziare i servizi offerti alla collettività con le imposte generali italiane, completa il percorso Bellinzona-Berna-Roma-Vco. Ed è il motivo per cui i frontalieri, inferociti dopo l’ennesima chiusura della statale 34, nelle scorse settimane hanno approfittato dell’assemblea pubblica di Palazzo Flaim per reclamare i loro diritti a fronte dei milioni di euro che, indirettamente, forniscono in cambio.

Intanto resta tutto da scrivere il futuro di queste imposte. Il governo Renzi negli anni scorsi ha trattato con la Svizzera per rivedere l’accordo del 1974. L’intesa raggiunta sul piano diplomatico ha avviato un percorso lungo un decennio per allineare le tasse dei frontalieri a quelle dei dipendenti italiani, cioè aumentandone l’impatto, indirettamente a scapito del potere d’acquisto dei salari. La campagna elettorale e il nuovo governo gialloverde hanno stoppato tutto perché, come prevede la Costituzione, i trattati internazionali vanno ratificati dal parlamento. Quello elvetico ha già provveduto, quello italiano molto difficilmente lo farà.

 

 

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