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VERBANIA – 02.11.2018 – Una relazione complicata,

la gelosia, il litigio finito in tragedia, la denuncia e il processo. Atti persecutori è il reato per cui è a giudizio al tribunale di Verbania il 23enne cusiano Omar Piccoli. Dal 6 giugno il giovane, che ha precedenti penali e di polizia, si trova in carcere, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare per l’aggressione che mandò in coma il 76enne Marino Gallarotti, deceduto il 28 settembre in ospedale. Aggressione avvenuta il 10 maggio nella piazza di Nonio, davanti al Circolo, al culmine proprio della lite con la ex che l’ha denunciato per atti persecutori.

Il rapporto tra Piccoli e la ragazza, barista in un locale del Cusio, a inizio 2018 andava avanti da qualche mese ma negli ultimi tempi s’era incrinato. Lui era convinto che lei l’avesse tradito. Affrontò l’argomento l’8 maggio in una forte discussione interrotta bruscamente e che rimase in sospeso due giorni. Il 10 i due s’accordarono per vedersi e per chiarirsi. Lui la raggiunse attorno alle 15,15 sul luogo di lavoro, la fece salire in auto e insieme iniziarono un viaggio il cui epilogo fu il tragico incontro tra Piccoli e Gallarotti, il manrovescio dato dal primo al secondo – che s’era intromesso tra i fidanzati come paciere –, e il gravissimo trauma cranico che quest’ultimo riportò nel cadere urtando con la nuca lo spigolo d’un gradino in marmo.

Ciò che accadde prima è una parte del capo d’imputazione di stalking contestato in aula dal pm Anna Maria Rossi. La giovane, che non s’è costituita parte civile e che al termine del racconto reso oggi in aula al giudice Rosa Maria Fornelli ha comunicato di voler rimettere la querela (il reato, per come è contestato, è procedibile d’ufficio), ha raccontato di essere stata costretta a seguirlo da Casale Corte Cerro a Nonio. Nel tragitto lui la insultò, la minacciò di morte e l’afferrò per il collo cercando di strangolarla, mollando poi la presa. Solo quando furono a Nonio la ragazza riuscì a scendere dal veicolo, scappare e chiedere aiuto riparandosi nel negozio-tabaccheria del paese. Sotto gli occhi della titolare, Piccoli le strappò il telefonino di mano, uscendo in strada con l’apparecchio, seguito da lei che poi, riavuto il cellulare, raggiunse il circolo del paese chiedendo aiuto alla banconiera. “Vado a prenderti un bicchiere d’acqua”, le disse la titolare lasciandola per un attimo seduta su una panca del dehors. Quando uscì di nuovo, trovò la giovane a terra che lamentava d’aver subito un calcio sulla coscia e, mentre cercava di rialzarla, udì un colpo sordo e un tonfo. Voltatasi, vide il corpo di Gallarotti riverso a terra. A quel punto, attratti dalle grida, in tanti s’erano affacciati in piazza. Aveva raggiunto il luogo, non distante da casa, anche la madre di Piccoli. Nessuno avvisò i carabinieri ma fu chiamata l’ambulanza. L’aggressore e la mamma prestarono assistenza al ferito, elitrasportato a Novara, mentre il padre dell’imputato riaccompagnò a casa la fidanzata.

Oltre a questo fatto, denunciato il 18 maggio ai carabinieri, la Procura contesta al 23enne omegnese, difeso dall'avvocato Gabriele Pipicelli, altri atti persecutori: una visita a una vicina di casa e amica della vittima, e i messaggi – trasmessi sotto forma dello stato del profilo whatsapp di Piccoli – in cui si parlava di morte postando emoji di pistole, coltelli e bare.

La parte offesa ha faticato a testimoniare, fermandosi un paio di volte in lacrime. Ha detto d’essersi sentita in pericolo di vita, d’aver dovuto dormire dalla sorella per diverse settimane, d’aver cambiato il numero di cellulare e di aver anche traslocato.

Hanno testimoniato il maresciallo dei carabinieri che ha svolto le indagini, le due commercianti testimoni del fatto di Nonio, i genitori e un amico dell’imputato, la cui versione è opposta. “Litigavamo perché lei era in un brutto giro di droga”, ha raccontato negando d’essere un assuntore di cocaina (lei ha ammesso di farne uso dicendo che lui ha quel vizio) e, non nascondendo di non aver buone frequentazioni, respingendo le accuse. Nella versione di Piccoli non ci furono aggressioni, insulti o minacce, nemmeno il calcio: “s’è buttata a terra piangendo”. Il telefonino lo prese per avere prova del tradimento che, scoperto, lo fece infuriare provocando la reazione contro Gallarotti. Nega anche che i messaggi diffusi tramite lo stato di whatsapp fossero rivolti a lei.

Il giudice Fornelli ha aggiornato il processo al 5 dicembre per sentire un ultimo testimone, un’amica della vittima, e per discuterlo. In Procura è aperto un altro fascicolo per lesioni gravissime e omicidio preterintenzionale.

 

 

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