VERBANIA – 21.09.2018 – Due udienze ravvicinate
e poi la sentenza. Il Tribunale di Verbania ha fretta e corre per definire, almeno in primo grado, la vicenda penale che riguarda i presunti “furbetti del cartellino”, i dipendenti della Regione Piemonte assegnati agli uffici decentrati di Villa San Remigio sorpresi dalla Guardia di finanza fuori ufficio in orario di lavoro. I fatti risalgono all’estate del 2013 e i termini per la prescrizione del reato di truffa aggravata si avvicinano, tanto più che il procedimento, la cui ultima udienza è stata nel dicembre del 2017, è stato rallentato dal temporaneo distaccamento a Novara del giudice Raffaella Zappatini. Il magistrato che aveva seguito l’istruttoria dibattimentale (in caso di sua sostituzione, senza l’accordo delle parti ad acquisire gli atti, si sarebbe dovuti ripartire da zero con un altro giudice) da lunedì è tornata operativa a Verbania. Ieri, in una maxi-udienza di smistamento con 43 fascicoli, ha deciso di stringere i tempi, fissando udienza il 5 e il 12 novembre. Nella prima saranno sentiti gli ultimi due imputati rimasti dal fascicolo originario, l’autista Claudio Suman e l’impiegata dell’Urbanistica Daniela Sana. Il primo ha manifestato l’intenzione di sottoporsi all’esame, la seconda potrebbe rilasciare spontanee dichiarazioni. La discussione e la sentenza arriveranno il 12 novembre.
L’inchiesta nacque nel 2013, a seguito della segnalazione di una dipendente di Villa San Remigio, che indicò il nome di tre colleghi ritenuti “assenteisti”. Il sostituto procuratore Bianca Maria Baj Macario incaricò la Guardia di finanza di svolgere le indagini che si svilupparono con l’installazione di una telecamera nascosta nei pressi della timbratrice, con il posizionamento di gps nei mezzi privati dei dipendenti sospettati, con pedinamenti e altri accertamenti telematici. Già nell’estate del 2013 la maggior parte delle prove era stata acquisita, ma agli indagati l’avviso di chiusura indagini fu notificato dalla Procura solo a fine 2015. Oltre a Suman e Sana venne chiesto il rinvio a giudizio di Dino Caretti, Delia Gagliardi, Maria Grazia Bacchetta e di una congiunta di quest’ultima. Gli ultimi quattro scelsero tutti un rito alternativo. Caretti e Gagliardi, nel frattempo andati in pensione, patteggiarono rispettivamente 10 e 16 mesi. Bacchetta scelse la messa alla prova e la parente venne assolta. Al termine dell’udienza preliminare, a fine 2016, i due “superstiti” dell’inchiesta originale furono rinviati a giudizio e mandati davanti al Tribunale in composizione monocratica per il processo che, ormai, è alle battute finali e che potrebbe anche non giungere a conclusione nei successivi gradi di giudizio qualora si superassero i tempi della prescrizione.


